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Ultimi errori del Novecento

by 33 ore

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1.
Profumo di ciliegi in fiore diffuso dal ventilatore, diventa burro l'attenzione, duemila cose rimandare. Vedo le case ingigantire come bambini di otto piani, le mani sulle altalene, voci di stoffa e cantilene. Dormire di giorno, dormire.
2.
Heyho! 02:00
Heyho! Uno sguardo basta per immaginarti mia. Neanche un giorno passa e ci ritroviamo qua sopra una coperta che profuma già di te. Scivola, sciogliti con me e se il vento strilla prepotente sulla soglia non gli dare corda, prima o poi si pentirà. Se ti tranquillizza sopravvivo pure io con gli stracci dell’amore che fu. Ma che meraviglia questa cosa improvvisa, Calda, ci bisbiglia, folle come è fuori il clima e la sua scintilla è una voglia che trascina. Dimmi un po’, tu, domani che fai?
3.
Non correre, non ansimare, non disperdere. Questo mondo è il più bello che c’è. E chi ha vent’anni mangia coltelli, chi ne ha quaranta sale sui castelli. Accarezziamo il serpente che ci divora finché non ci abbia mangiato pure il cuore. Ottimismo o masochismo? Felicismo o facilismo? Non piangere, non dubitare, non attendere. Questo mondo è il più bello che c’è. A sessant’anni nipoti belli, ad ottant’anni chiudono i cancelli. Accarezziamo il serpente che ci divora finché non ci abbia mangiato pure il cuore. Ottimismo o masochismo? Felicismo o facilismo?
4.
Mario, tranquillo che la finestra è spalancata. Mario, hai detto che chi ha speranza è in trappola ma, Mario, prima di farlo io voglio andare a prenderti il giornale Mario, il giornale, e sigarette da fumare insieme in salone, all'infermiere non lo dire... Mario, ti amo, sei buono e stronzo come il mondo. Mario, mio nonno non si chiamava Mario ma fa lo stesso, è ciò che in fondo credo di aver perso, a novant'anni faccio anch'io lo stesso magari, non me ne frega più del mio rimorso. Che scemo. Ho fatto tutto quello che dovevo. Mario Mario Mario...
5.
Ma che palle questa festa, vedo ciò che resta di me come un occhio nero sulla faccia. Dal riverbero di chiome e gin che gira attorno perdo l’interesse verso tutto. Non esco più. Quanto è piena la mia testa, un mulo che conversa con me, di ascoltare proprio non mi va. Vado verso casa ad occhi giù, che gemiti che fo! Passo un’ora nella doccia calda, sai com’è. Non esco più.
6.
Acquilone 03:36
Le abitudini a volte emergono come polaroid incollate al blu che sa di cloro. Il cielo dell'estate sembra una piscina gigantesca o qualcosa di simile. Le consuetudini non mi tormentano, nemmeno tu. Le mie scarpe non le riconosco più, mi sento libero. Mi sollevo come un aquilone o qualcosa di simile sulle torri e le tombe di questa città. Le altitudini non mi spaventano, che vita è quella di un notaio sottoterra? Io non so strisciare. Resto in alto come un aquilone o qualcosa di simile sulle torri e le tombe di questa città.
7.
8.
Diverso 02:51
Che animale stupido sei, con la maschera di cera. Digerisci male, per dio! desideri che non cerchi mai. Fino a quando non vedi tutto diverso, diverso come se neanche fossi tu. I tuoi dadi adesso fanno sei, giochi tutto quello che hai. Finalmente fuori dai guai... Fortuna facile ma fragile. Fino a quando di nuovo tutto diverso, diverso come se neanche fossi tu.
9.
Lei, goccia furtiva da un temporale fuggita. Lei, ore che aspetta, brivido, che passi in fretta. Ferma nell'auto accostata he nessuno la osserva. Lei, brava ragazza in una casa impazzita. Pochi rumori, stanno portando i giornali. Lei, umida bocca, sapore dell'incoscienza. Lei, buio di strada. Kabooom! Lampo che scoppia. Salta come una foglia che è stata appena recisa. Lei, stringe la pietra e guarda la sua finestra. Ormai non resta che prendere bene la mira.
10.
Re di piume 03:53
Dolce il mio miraggio fuori di prigione, l'aria bruna sale e scende dandomi la voce. Sono il re di piume e sorriderò come chi non ha più niente da ritrovare. Rondini per me mettono in allarme prima di partire calme, direzione sud. Ho tardato un po' brillo tra le foglie dove il sole muto splende di povertà. Tu non sei in casa e la luce è accesa, cento luci sono accese, troverò qualcun altro. La stagione corta e le sue intenzioni sono cani incatenati al palo del rancore. L'ultimo passeggio a piedi nudi fa rumore come i calci dati contro al muro. Una sveglia suona come un pacco bomba per fare saltare in aria piani di passione, ma poi non succede, e chi sa rimanere, per la prima volta, porta i figli a scuola. Tu non sei in casa e la luce è accesa, cento luci sono accese, troverò qualcun altro.
11.
Oggi sembrano infinite le margherite del parco, sono secondi respirando primo polline e nient’altro. Sotto un salice vedo da lontano il mio ricordo, ci si siede attorno un cerchio di scolari con il pranzo. Bionda, la maestra si abbandona e si toglie le scarpe, mezzogiorno incredulo fa schiuma su quei campi. Un bambino con gli occhiali si innamora di quei piedi bianchi, bianchi, bianchi, l’erba li colora. Oh mio ricordo! Ho imparato ad aspettare, tu non vuoi aspettare. Questo fa di me un pescatore e di te un pescecane.

about

33 ore, 33 minuti, 11 canzoni. Con questi numeri Marcello Petruzzi, in arte 33 ore, esce per la seconda volta con un disco a proprio nome.
La storia è questa: il cantautore blues si ritrova in mano una manciata di canzoni pop dalla disarmante spontaneità. Ma c’è un problema: lui non se ne accorge. È così che l’etichetta Garrincha Dischi, mossa dall’evidente volontà di arricchirsi alle spalle del povero cantore, decide di produrre questo disco.
Pochi suoni, atmosfera blues dai toni cupi ma senza depressione e lamento, piuttosto l’ironia e la maturità del disincanto. Dentro a Ultimi errori del Novecento c’è il cantautorato italiano perché cantato in italiano ma che di italiano ha alle fine ben poco, molto invece c’è dell’America di Robert Johnson, c’è l’amarezza delle chitarre blues e la voglia di scacciare i pensieri altrove. Non si piange per gli ultimi errori del Novecento, semmai si tira qualche pugno con Dormire di giorno, nella balera tutta stivali e visioni verticali di finestre spalancate per Il vecchio Mario. Tom Waits al bar con Manu Chao, in lontananza, in primo piano l’unicità dello stile di Marcello e l’arte delle parole messe al loro posto, ovvero poesia. Il disco si posiziona autarchicamente, come il proprio autore, sotto la luce di un cantautorato personale e Diverso. Undici canzoni che parlano delle donne belle (liberamente ispirata alle lettere di Adriano Sofri dal carcere), di se stessi e di aquiloni, o qualcosa di simile.

Piccola biografia didascalica:
Marcello Petruzzi è un cantautore e musicista di origini Livornesi che vive a Bologna. Prima dell’esordio discografico come 33 ore (“Quando Vieni” Garrincha Dischi, 2009) ha fondato i Caboto e ha suonato in numerosissime formazioni tra le quali Franklin Delano e Blake/e/e/e.

credits

released October 28, 2011

Scritto, cantato e suonato da Marcello Petruzzi (voce, chitarra classica/acustica/semiacustica/elettrica, effetti, armoniche, percussioni, shaker, mani, basso elettrico, tastiere, organi, synth) con la partecipazione di Elia Dalla Casa (sax baritono, flauto tenore, tin whistles), Francesco Brini (batteria, percussioni, ferri, coperte, cianfrusaglie, congas, kalimba, timbales, shaker, campane, gong, tastiere, synth), Peppe Ajello (contrabbasso e contrabbasso elettrico), Emidio Clementi (basso elettrico e distorsioni in Primo polline), Marcella Riccardi (delay, microfoni, voce e distorsioni in Le donne belle, chitarra elettrica, delay in Re di piume e Aquilone).

Registrato da Francesco Brini/Spectrum Studio, Bologna + Matteo Romagnoli/Donkey Studio, Bologna + Marcello Petruzzi/Home Studio
(marzo 2010-luglio 2011). Missato da Matteo Romagnoli con l’assistenza di Paolo Pugliese, con eccezioni missate da Francesco Brini. Mastering di Francesco Brini. Direzione artistica di Matteo Romagnoli e Marcello Petruzzi,

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